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il rito e il mare

I riti del porto

Il porto è il luogo di confine fra il territorio familiare e conosciuto e il mondo degli altri, dell’opportunità e del rischio estremo. Dal mare viene la ricchezza e anche la sventura. Non si può pensare un luogo simile senza una complessa ritualità che viene a patti con l’ignoto.

la nave inizia la sua vita con un battesimo

Il varo di una nave

Il varo è la cerimonia della messa in acqua di una nave di nuova costruzione. Oggi si svolge con la presenza di una madrina che battezza la nave infrangendo una bottiglia di champagne sulla prua. Nell’antichità si faceva un sacrificio agli dei che dovevano proteggere la nave e il suo equipaggio dai pericoli della navigazione.

Si tratta di una tradizione antichissima che è andata modificandosi. Gli antichi riti prevedevano il sacrificio di un animale il cui sangue era sparso sulla prua. I Romani, oltre al sacrificio dell’animale, erano soliti spargere lungo le loro imbarcazioni occhi di cinghiali, di cigni o di delfini per dotare la nave di occhi quando la visibilità sarebbe stata scarsa e i marinai in difficoltà nel seguire la  rotta.

I riti propiziatori

Solo nell’Ottocento si cominciò a ricorrere al vino, solitamente rosso, metafora del sangue dell’animale sacrificato. E così nacque la consuetudine di lanciare sullo scafo una bottiglia di vino: questa doveva infrangersi in segno di protezione divina.

A questi riti propiziatori, col tempo si è affiancata  anche la cerimonia cristiana, in cui un sacerdote viene invitato a benedire e a “battezzare” la nave, con l’imposizione del nome per sancire il suo riconoscimento e il suo ingresso nel mondo marino.

La nave solitamente entra in mare di poppa perché è la parte che ha la migliore galleggiabilità e un maggiore freno all’entrata in acqua.

Nell’Arsenale di Taranto, la prima nave varata è stato il piroscafo “Città di Bastia” e, come vediamo dal filmato dell’Istituto Luce del 1930, è presente l’arcivescovo Orazio Mazzella a benedire la nave che tra il tripudio generale entra nelle acque del Mar Piccolo.

Diversi storici tarantini riportano che l’apostolo Pietro passò da Taranto, insieme a san Marco, nel suo viaggio per Roma.

S. Pietro e S. Marco

Si racconta che quando Pietro giunse sull’isola che porta oggi il suo nome, si inginocchiò per pregare e lasciò su una pietra le impronte delle ginocchia. Questa pietra, secondo lo storico Giovanni Giovine, fu trasportata da marinai veneziani nella chiesa di san Marco, dove ancora oggi si conserva con devozione.

La leggenda vuole che l’apostolo Pietro, in viaggio verso Roma con l’evangelista Marco entrasse in porto. Chiedendo acqua da bere fu condotto da alcuni pescatori ad un pozzo dov’era una statua del dio Sole. Consuetudine era che chi voleva bere dovesse adorare la statua. Ma Pietro si rifiutò e dopo aver fatto un segno di croce verso la statua del dio Sole, il simulacro si frantumò in mille pezzi tra lo stupore generale. Nel luogo ove S. Pietro avrebbe annunziato ai Tarantini la nuova fede, nel fosso attuale sotto il Castello, fu edificata una chiesa che prese il titolo di “S. Pietro della Porta”. Lì secondo la tradizione l’Apostolo celebrava la messa, nel periodo in cui i venti lo trattennero a Taranto. Questa chiesa, ormai demolita, era sotterranea, sostenuta da belle colonne, ornata di pitture tra cui il ritratto del Santo. I primi evangelizzatori di Taranto sono presenti sia negli affreschi all’interno della Cattedrale sia scolpiti sulla facciata.

Taranto, Cattedrale san Cataldo, avancorpo. Affresco di Domenico Torti raffigurante san Pietro Apostolo.

Taranto, Cattedrale san Cataldo, avancorpo. Affresco di Domenico Torti raffigurante san Marco Evangelista.

La storia del porto di Taranto è strettamente legata al Santo Patrono della città

San Cataldo

Sin dal 1937, sul molo che prende nome dal santo, la banchina più vicina alla città, è innalzata una statua del santo vescovo, alta 5 metri, che poggia su una base di 9 metri, ove l’epigrafe inscritta si rivolge con parole rassicuranti ai i marittimi, recitando:

L’occhio fisso in Dio, la mente contro l’ira dei nembi. Per la salute dei naviganti. Il cuore per la mia città. Splendida di fede e di gloria”.

Statua di San Cataldo situata nel molo.

come in un ex voto

Un miracolo di san Cataldo

Il biografo tarantino Cassinelli, racconta di un giovane Francese, “maestro di arti liberali” che, di ritorno in nave da un pellegrinaggio in Terra Santa, si riparò dalla burrasca nel porto di Trani. Qui il francese sentì parlare di san Cataldo e si raccomandò a lui per il resto del viaggio.

Appena ripartiti, la nave si ritrovò in una nuova burrasca ancora più violenta: il giovane implorò l’aiuto del santo, e fu l’unico a salvarsi. Appena si riebbe, decise in segno di ringraziamento di andare a visitare il sepolcro del Santo a Taranto.

La storia del santo sintetizza il rapporto della comunità con il mare

Storia di S. Cataldo e del suo anello

San Cataldo arriva a Taranto dopo un soggiorno in Terra Santa, dove secondo la tradizione gli sarebbe apparso Gesù che gli avrebbe detto di andare a Taranto e di rievangelizzare la città ormai in mano al paganesimo.

Giunto a Taranto il santo avrebbe lanciato un anello in Mar Grande per placare una tempesta e in quel punto si sarebbe formato un citro, cioè una sorgente d’acqua dolce chiamata “Anello di San Cataldo”, tutt’oggi visibile sotto forma di “polla d’acqua dolce”.

Racconto della leggenda fatta da un pescatore a Guido Piovene nel 1952

La processione in mare

Divenuto vescovo di Taranto, Cataldo compì la sua opera evangelizzatrice facendo abbattere i templi pagani e soccorrendo i bisognosi. Morì a Taranto l’8 marzo 685 e fu sepolto sotto il pavimento della cattedrale.

Della festa patronale, uno dei momenti più suggestivi è la processione in mare che si tiene l’8 maggio di ogni anno, con la statua del santo che si imbarca dal Molo Sant’Eligio.

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