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IL PORTO FINO A IERI
Panoramica del porto

IL PORTO FINO A IERI

Il porto di Taranto è stato luogo di scambi  fin dall’antichità, crocevia di popoli e culture.  Come avrebbe potuto non esserlo se si trova  nel Mediterraneo, culla di civiltà ?

Da qui partivano gli atleti tarantini per partecipare alle Olimpiadi secoli prima della nascita di Cristo, questo era il luogo che la più antica guida per i naviganti del Mediterraneo definisce il “bono porto”.

Per partecipare alle Olimpiadi occorreva avere una nave per raggiungere la Grecia e un cantiere navale per costruirla.

Una nave per andare alle Olimpiadi

Negli ultimi decenni del VI secolo a.C., è testimoniata la presenza di atleti tarantini alle Olimpiadi. Questa partecipazione comportava il dover armare una nave per trasferirsi in Grecia per almeno un anno. E lo potevano fare solo i ricchi tarantini che avevano ampie possibilità economiche, come Anochos.

Se i Tarantini armavano navi è chiaro che c’erano dei cantieri, o perlomeno c’era chi poteva riparare una nave e metterla in condizione di affrontare un lungo viaggio in mare aperto.

Gli agoni panellenici sembrano un’attrazione notevole per l’aristocrazia locale, che cerca affermazione e gradimento presso gli ambienti nobiliari della madrepatria, come testimonia anche il ritrovamento di  anfore panatenaiche nelle tombe locali, simboli di vittoria.

La cura delle navi antiche

Nell’antichità si navigava solo nella stagione da marzo a settembre, perché le navi non erano attrezzate per affrontare il duro mare invernale.

Il fasciame per la costruzione delle navi era spesso in legno di pino, più leggero della quercia e di altri, ma anche più fragile. Le «trireme» avevano bisogno di continua manutenzione e sostituzione degli elementi logori: in autunno-inverno le navi erano tratte in secco in scali coperti.

Per impermeabilizzare il legno si usava la pece come «cera», come descrive Plinio il Vecchio ( 23 – 79 d.C.), anche per proteggere dalle teredini, molluschi che scavano gallerie nel legno sommerso finendo per compromettere gli scafi in legno.

Tarantini alle Olimpiadi

Nel 520 a.C. durante i 65° Giochi Olimpici, il tarantino Anochos, figlio di Adamatas, ottiene una doppia vittoria: nella corsa della lunghezza dello stadio (circa 192 m) e nel diaulos, doppio stadio (circa 384 m).

Per queste vittorie fu onorato di una statua sull’Altis,  il santuario che celebrava gli atleti vincitori. La stata fu realizzata dallo scultore Agéladas (VI– V sec. a.C.) che lavorò tra il 520 e il 450 a.C. soprattutto a Delfi e nel Peloponneso.

Tarantini alle Olimpiadi

Nella 77ª Olimpiade  del 472 a.C., Icco di Taranto, allievo di Anochos, vinse nel pentathlon, perciò gli venne dedicato un monumento nel tempio di Era ad Olimpia.

Fu, inoltre, famoso per la vita sobria e sostenitore dell’ autocontrollo fisico e psichico prima delle gare, consigliando astinenza dai rapporti sessuali e moderazione alimentare, attenendosi ad una dieta semplice e frugale.

La fama di Icco come ginnasta e fisioterapeuta ha avuto una larga diffusione nel mondo classico, ed è stata ripresa dal medico e igienista del Rinascimento Gerolamo Mercuriale (1530-1606).

Anfora panatenaica, 480 a.C. circa. Ritrovata nel 1959 a Taranto, via Genova, nella c.d.Tomba dell'Atleta. (fonte MArTa)

Porto naturale da sempre

Le fonti letterarie e le indagini archeologiche sono d’accordo nel collocare i bacini del porto antico lungo la spiaggia del Mar Piccolo, nel tratto che va dal fossato sino alla rientranza di S. Lucia compresa, cioè là dove si svolgeva la vita marittima della città fino al 927, anno della distruzione di Taranto da parte dei Saraceni.

Gli storici di età romana ci hanno lasciato utili indicazioni per capire l’aspetto e la vita dell’antica città portuale.

Il primo porto di Taranto

Il primo vero porto dell’antica Taras doveva essere sulla bocca d’entrata del Mar Piccolo. In tal senso si trovano utili indicazioni nel geografo Strabone (†24 d.C. ca.) e lo storico Appiano di Alessandria (†165 d.C. ca.).

Racconta Strabone

“Et essendo il golfo di Taranto quasi tutto senza porti; quivi nondimeno ve n’è un grandissimo, et molto bello, chiuso da grandissimo ponte, il porto circonda cento stadi. Et, dalla parte, ch’è verso il seno interiore, fa uno istmo verso il mare di fuori, talché la città viene ad essere posta in penisola, et le navi si possono facilmente tragettare, per essere d’ambedue le bande, basso quel dosso di terreno, è basso ancora il suolo della città, pure si va alquanto alzando verso la rocca”.

Appiano descrive

Appiano, che scrive intorno al 160 d.C., a differenza di Strabone parla di porti al plurale:

“I porti di Taranto riguardano verso Borea entrandovisi dalla parte del mare: e il terreno disgiunto si congiungeva con ponti”

Questi attracchi sono rivolti a Borea, cioè a nord “entrandovi dalla parte del mare”, cioè dal Mar Grande e probabilmente si tratta dell’area attuale del ponte di pietra, dove una volta c’era lo scoglio del tonno e furono trovate le ceramiche più antiche, di fattura micenea .

Ritratto di Strabone in André Thevet, Les vrais pourtraits et vies des hommes illustres, chap. 35, page 76

E' bizantina la fortificazione sotto il Castello Aragonese

Nasce un castello

Risale al 780 la costruzione del primo nucleo del l’attuale castello Aragonese,  quando i Bizantini avviarono la costruzione della “Rocca” a protezione del porto e della città dagli attacchi dei Saraceni e della Repubblica di Venezia.

Questa prima fortificazione era costituita da torri alte e strette, dalle quali si combatteva con lance, frecce, pietre e olio bollente.

Taranto fra il Tardo Antico e l’Alto Medioevo, tratto da Cazzato V., Il Porto di Taranto, Roma 1978

La tassazione dei porti in epoca normanno-sveva

Dazi diritti e dogane medioevali

I porti del meridione fin dall’epoca normanno-sveva erano sottoposti a numerosi diritti statali e feudali pagati dai mercanti e dai capitani delle navi per importare o esportare merci, per l’approdo (ancoraggio e falangaggio, cioè la possibilità di piantare pali d’ormeggio o di avvalersi di quelli già piantati), per l’illuminazione nei porti (lanternaggio) ed anche per la pesca.

Ogni provincia era controllata da un Regio Secreto o Mastro Portolano (in Otranto per la Terra d’Otranto), alle dipendenze della Regia Camera della Sommaria, che vigilava sugli ufficiali di dogana della provincia, sui traffici e sulle esazioni dei suoi ufficiali detti portulanoti.

La più antica guida per i naviganti del Mediterraneo porta anche a Taranto

Il porto di Taranto nel portolano più antico

Il portolano è un manuale pratico e riporta minuziosamente tutti i dati necessari per affrontare la navigazione nei settori di mare a cui si riferisce, in relazione alle coste, agli attraversamenti e agli approdi: questo, redatto da un anonimo, ci dà un quadro dei porti meridionali nel medioevo.

Risale al 13º secolo l’esemplare più antico di portolano per il Mar Mediterraneo che conosciamo, è “Lo Compasso de navegare”, realizzato da un autore anonimo, forse di origine italiana, e scritto nel volgare medievale.

Dove è detto:

«Taranto è bono porto, et à II [due] isole en mare V [cinque] millara per sirocco, ver meczo di… All’isola maiora, à bono ponedore [buon ancoraggio] à tucti venti; davanti al monastero, ch’de en meczo all’isola sopra dicta da maestro».

E più avanti si legge:

Se volete gire al porto de Taranto, mettete l’isola peticta ch’è da greco per mecza poppa, e ‘l capo de la città ch’è da garbino [cioè riparato dai venti provenienti da sudovest] per mecza proda, e così entrerete nepto, per uno tuvolo che è en quella parte del golfo sopre dicto. Et onora la ponta de la città meczo prodese. Se podete afferare e serrete en no porto, et à fondo de VI [sei]  passi”.

Nota di approfondimento

Intorno alla metà del Duecento Taranto era quindi il più importante porto sul mar Ionio insieme a Crotone: ce lo conferma la qualifica di buono (“bom”), con la quale viene designato, da intendersi nel senso di scalo in condizioni pienamente soddisfacenti quanto a sicurezza, facilità di accesso, profondità dei fondali e funzionalità, qualifica che l’autore del Compasso attribuisce solo ad altri tre porti pugliesi, e precisamente a Brindisi, Siponto e Vieste, per altro tutti e tre situati sull’Adriatico

La più antica tassa documentata nel porto di Taranto

Tasse, sempre tasse

La testimonianza della più antica tassazione imposta dalla dogana di Taranto la troviamo in un atto del 1270, nel periodo angioino.

Il 21 settembre 1270 l’allora Re Carlo I d’Angiò diede ordine al Secreto di Puglia (il funzionario che si occupava della riscossione delle tasse demaniali, già dal tempo di Federico II), al Vicesecreto di Terra d’Otranto ed ai portolani tarantini di consentire al mercante Fusco Campanile di Ravello di salpare dal porto di Taranto con la sua nave “S. Nicola” per esportare, senza il pagamento del consueto diritto di uscita, alcuni

quantitativi di farina, di grano, di carne salata e di merci varie, evidentemente di produzione locale, destinati all’approvvigionamento dell’esercito cristiano franco-angioino di stanza a Tunisi.

Costi bassi e comodità fanno fiorire un porto

Dogana e fondaci

Le aree portuali sono risorse, luoghi di attenzione, capaci di attrarre attività e investimenti. Di fatto il porto diventa «attrattivo» se è in grado, tra le varie cose, di offrire sgravi fiscali o incentivi economici oltre che attrezzature (come i fondaci per conservare le merci o gli arsenali per riparare le imbarcazioni), tempi rapidi e sicurezza.

Questi fattori hanno condizionato in vari periodi la movimentazione delle merci e hanno portato alla comunità tarantina prosperità o stagnazione.

Attrezzature e fiscalità

L’organizzazione angioina del porto

Pare che gli Svevi si siano ispirati agli Arabi per creare il sistema fiscale demaniale, e anche l’origine della parola “dogana”, derivante dall’arabo “dîwân” (registro) che diventa in latino “duana” e corrisponde al greco sécreton, conferma questo legame.

Numerosi atti di cancelleria di Carlo d’Angiò (1226-1285) parlano del fon­daco e della dogana di Taranto, dei quali beneficiava anche la Chiesa tarantina che aveva il diritto di decima.

Gli uffici della dogana e del fondaco erano situati in prossimità del porto, quasi a ridosso della piazza pubblica, della porta occidentale della città e del ponte di collegamento alla ter­raferma, attuale Piazza Fontana.

Il fondaco comprendeva vasti edifici adibiti a magazzino, nei quali venivano depositate le mercanzie, come stabiliva la legge, sotto il controllo e la re­sponsabilità dei fondachieri. C’erano anche delle foresterie, alloggi per i mercanti in transito.

Se sono attività economiche redditizie vengono tassate

Tasse, ancora tasse

Nel Quattrocento, le esazioni sui movimenti al porto di Taranto erano varie: lo jus platehaticum [una tassa a peso per ogni merce comprata o venduta), lo jus fundici et exiturae (una tassa sulle esportazioni), la cabella cambii (una tassa che a quel tempo era di una moneta d’oro per ogni cambio di moneta) e l’ancoraggio.

Nota di approfondimento

Ad esempi si pagavano 18 grana ad oncia per ogni merce comprata o venduta: la prima moneta detta grano fu un piccolo pezzo di rame battuto da Ferdinando I di Napoli (1458-1494) a Napoli. Il grano valeva 12 cavalli (moneta più minuta). Il tarì valeva 20 grana. Sotto Filippo II fu coniato un grano d’argento dal peso di 0,35 grammi e dal valore di 12 cavalli.

(Da Wikipedia).

i detriti ostruiscono l’entrata del porto

Il Porto durante il vicereame spagnolo

Camillo Porzio, avvocato napoletano, nel 1575 scrive in una lettera al Vicerè di Napoli riguardo la condizione dei porti del regno e riguardo la Terra d’Otranto dice:

Ha due porti nobilissimi quanto siano in tutta l’Europa, Taranto e Brindisi. Gli è vero che la bocca di quello di Taranto, è stata da sassi, e dal terreno ripiena, in modo che non vi possono entrar legni grossi. Il che mi persuado che fosse fatto dalli paesani al tempo delli  Sarracini per privarli delle commodità di quel porto”.

L’aspetto del porto di Taranto e della città in un disegno del 1580, conservato alla Biblioteca Angelica di Roma (Da Porsia F., Scionti M. , Bari 1989)

Merci, scambi e tasse nei primi anni del Settecento

La dogana nel periodo asburgico

Durante gli anni in cui il regno di Napoli passa agli Asburgo d’ Austria  (1707-1734) dal porto di Taranto transitano notevoli quantità di olio. Nel 1732, ad esempio, vengono esportate 4.314 salme di olio, pari circa a 776 tonnellate di prodotto. Per ogni salma la dogana del porto esigeva 1 ducato.

Oltre all’olio molte altre merci erano trasportate su navi provenivano dai paesi europei più attivi nel commercio marittimo, “Inghilterra, Olanda, Spagna, e Portogallo” riferiva il Cassinelli, e tutte alimentavano i proventi doganali dei regnanti.

Nel Settecento si esportavano ‘coccie’ nere, ostriche, frumento, biade, vini, lane, ‘oglio’, formaggio, e ‘bombace’ (cotone): le marinerie di tutto il mondo espandono la loro rete commerciale e il volume degli scambi. In questo mondo che accelera c’è anche Taranto.

il fosso e il canale navigabile

Il “fosso” che oggi identifichiamo come canale navigabile sotto il ponte girevole, che permette la comunicazione via mare tra il Mar Piccolo e il Mar Grande, viene realizzato nel periodo della dominazione romana, agli inizi del I secolo d.C..

Sia le fonti letterarie sia scavi archeologici consentono di collocare i bacini del porto lungo la spiaggia del Mar Piccolo, dal fossato sino alla rientranza di S. Lucia compresa, cioè là dove si svolgeva la vita marittima della città fino al 927, anno della distruzione di Taranto da parte dei Saraceni .

Nel 1481, sotto gli Aragonesi, si realizza un primo canale navigabile, più stretto dell’attuale e con sponde irregolari, per consentire il passaggio di piccole imbarcazioni e migliorare la difendibilità del castello. A quel tempo il passaggio antico realizzato durante l’impero romano era ostruito da detriti. La direzione dei lavori fu affidata a Marco Antonio Filomarino, viceré di Terra d’Otranto. I lavori terminarono nel 1484.

Nel corso del Cinquecento, sotto il Vicereame spagnolo, il canale fu più volte ripulito e furono alloggiate persino coltivazioni di cozze lungo il canale.Verso la fine del Cinquecento, il fosso fu scavato ulteriormente per “fare entrare le galere in Mare Piccolo” .

La ripresa delle attività economiche nel porto

La riapertura del Fosso nel Settecento

Nel 1755 iniziano i lavori per riaprire il fosso del canale, per ordine di Carlo III (Re di Napoli 1734-1759).

Gli interventi attuati alla metà del Settecento  non riguardarono direttamente il bacino portuale, che del resto era, nella sua parte esterna — il Mar Grande – in discrete condizioni, ma il canale artificiale, che a quell’epoca era ricolmo di alghe e detriti. L’intervento, ordinato nel 1755 da Carlo III (re di Napoli, 1734-1759), mirava a ripristinare la comunicazione tra le acque nei due bacini, Mar Grande e Mar Piccolo, per ristabilire l’ambiente adatto all’industria  della pesca. Nel porto di Taranto, intanto, si commerciavano tutti i principali prodotti pugliesi:  grano, olio e lana.

La mappa realizzata da Ottone de Berger nel 1771 e pubblicata all’interno del libro “Delizie tarantine” di Tommaso N. D’Aquino

L’Atlante Salentino del Pacelli

Il geografo manduriano Giuseppe Pacelli (1764-1811) ai primi dell’Ottocento disegna l’intero Salento, a partire da Taranto. Definisce il suo porto “uno dei migliori del Regno. Egli è vasto e sicuro, in forma di teatro, del giro di circa 18 miglia, capace di qualunque legno, anche da guerra.

Pagine tratte dall’Atlante Salentino del Pacelli in cui descrive il porto di Taranto, redatto intorno al 1803.

(gentile conc. biblioteca De Leo di Brindisi)

Taranto al tempo dell’Unità d’Italia

Nel 1860, quando Taranto entra a far parte del Regno d’Italia, aveva appena 27 mila abitanti. Ma da quell’anno, per tante città meridionali, si risvegliano l’economia: ripartono l’ agricoltura, il commercio, l’industria e la navigazione. Con il lavoro e il maggior benessere crebbe anche la popolazione.

Se nel primo decennio gli abitanti non aumentarono, perchè la città era in trasformazione, negli anni successivi ebbe uno sviluppo mirabile; se nel 1871 la popolazione  era di poco più di 27mila abitanti, un decennio dopo era di 34 mila; nel 1900 saliva a 60 mila; nel 1910 a circa 70 mila; nel 1920 a circa 105 mila e nel 1950 a circa 170 mila. Questo sviluppo demografico, trova pochi riscontri in altre città d’Italia, ed è uno dei più grandi che registrino le statistiche.

Il porto mercantile sotto gli ultimi Borboni era caduto in vera crisi; i prodotti che vi affluivano dalla Lucania e dalla Calabria erano sbarcati con piccole barche d’alaggio nella breve ansa naturale di Nord Ovest, riparata ma priva di banchine e di opere portuali. Dopo il 1860 si pensò di allargare il porto e di renderlo adatto a ospitare i grandi piroscafi che la tecnica moderna creava, e si elaborarono diversi progetti.

Nel 1886 , col sussidio del Governo, si costruisce una banchina di 100 metri presso l’attuale molo S.Eligio. Nello stesso anno si draga il canale navigabile per migliorare il passaggio tra Mar Grande e Mar Piccolo.

Nel 1887, nei pressi del ponte di Porta Napoli appare la banchina detta «Dogana Regia» e uno scavo appena sufficiente per consentire l’approdo di velieri di piccola portata. In questo periodo si discute se costruire il porto mercantile in Mar Piccolo o in Mar Grande, dov’è attualmente.

1908 Ponte di Porta Napoli (da Rassegna Pugliese 1913)

1900 ca. Porto mercantile (da Rassegna pugliese 1913)

a

Tue ‒ Thu: 09am ‒ 07pm
Fri ‒ Mon: 09am ‒ 05pm

Adults: $25
Children & Students free

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