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DAL PRINCIPATO
AI PRIMI BORBONE
9. Principato del Balzo Orsini (1420-1463)
9. Principato del Balzo Orsini (1420-1463)
1420 ca
1420 ca

Le gabelle portuali.

Le riscossioni sui movimenti al porto erano: lo ius platehaticum, cioè per l’uso del suolo pubblico si pagava una percentuale per ogni merce comprata o venduta; lo ius fundici et exiturae era una tassa sul deposito e l’esportazione delle merci. C’erano poi la cabella cambii, una gabella su ogni cambio monetario e il diritto di ancoraggio. Spiaggia di Santa Lucia, dov’era il porto in Mar Piccolo, qui prima della costruzione dell’Arsenale. Da Rassegna del Comune, 1935, fasc. 1-2, www.internetculturale.it
1435 ca
1435 ca

Le Peschiere al tempo del Principe del Balzo Orsini

Dall’inventario del Principe Giovanni Antonio del Balzo Orsini si desume che ci sono delle peschiere in tutto il Mar Piccolo, a iniziare dal ponte e dalla torre che lo sovrasta, ma anche nel Mar Grande, da Capo san Vito al Patemisco. Sono specificate le gabelle da pagare a seconda dei tipi di pesci pescati, dei modi di pesca da utilizzare e i periodi in cui farlo. Poche peschiere sono esenti da gabelle. Ritratto di Giovanni Antonio del Balzo Orsini, principe di Taranto, tratto da Giulio Roscio, Agostino Mascardi, Fabio Leonida, Ottavio Tronsarelli et al., Ritratti et elogii di capitani illvstri, Roma, 1646, pag. 128, opera rilasciata su Google Books in licenza libera. http://books.google.com
1440 ca
1440 ca

Il Sale diventa privilegio del Re aragonese.

La produzione, l’importazione e la vendita del sale nel Regno di Napoli, con l’arrivo degli aragonesi diventa privilegio esclusivo del sovrano. Infatti fin dal 1441, Re Alfonso il Magnanimo (1393-1458) prende possesso delle principali saline del regno: Barletta, Castellaneta, Siponto e Taranto. In questo periodo dal porto di Taranto vengono imbarcati grossi quantitativi di derrate alimentari e di biscotto della flotta. Illustrazione di Enzo Nisco da “La Storia di Taranto Illustrata”, Scorpione ed., Taranto 2016.
1463
1463

Fine del Principato di Taranto.

Dopo la morte del principe Giovanni Antonio del Balzo Orsini (1386-1463), il principato di Taranto torna in potere del re di Napoli Ferdinando d’Aragona (1424-1494). Per risollevare l’economia tarantina, il Re stabilisce una terza fiera da tenersi annualmente, esente da ogni dazio, nella piazza presso la dogana, intitolata a sant’Antonio abate. Nel Conto del Tesoriere di Taranto, datato 1464, tra i mercanti esteri che “infondacano” merci nel porto di Taranto ci sono nove mercanti veneziani, un veronese, un milanese, un bergamasco e due ragusei, cioè provenienti dall’attuale Dubrovnik. Tra le merci immagazzinate: ferro, legno, panni di lino, velluto, seta, pelli bulgare, cacio e pepe. Ritratto postumo di Ferdinando I di Napoli, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ritratto_di_Ferrante_d%27Aragona.jpg Artnet.com, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
10. Periodo Aragonese (1442-1503)
10. Periodo Aragonese (1442-1503)
1465 ca.
1465 ca.

Con la riannessione di Taranto al Regno di Napoli, si avvia una ripresa economica.

I cittadini di Taranto per riavviare una ripresa economica chiedono al Re una minore pressione fiscale a partire dalla vendita del pesce, che era la principale attività economica tarantina. Altri importanti diritti feudali da ritoccare erano: lo ius platehaticum (tassa sulle transazioni, cioè per ogni tipo di merce acquistata o venduta in piazza), lo ius fundici et exiturae (sulle esportazioni), la cabella cambi (che imponeva una moneta d'oro per ogni cambio) e l'ancoraggio o diritto di approdo, pagato a seconda del tipo di nave. Modellino di Galea Maltese dell’Ordine dei Cavalieri di san Giovanni, Museo Storico Navale di Venezia. Myriam Thyes, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons.
1480
1480

Durante la guerra d’Otranto, partono da Taranto diverse navi in aiuto degli assediati.

Dal porto di Taranto partono per Otranto quattro navi ‘onerarie’, cioè navi destinate ad assicurare supporto logistico, ossia il rifornimento di acqua, viveri, ecc., in aggiunta a una triremi con 300 marinai in aiuto di Otranto, durante l'assedio turco. Una di queste era una nave turca affondata nel 1469 e recuperata nei cantieri navali tarantini. Dettaglio della Battaglia di Otranto di Donato Decumpertino (da Copertino), 1550 ca. Castello di Capua a Gambatesa (Campobasso). Luxiam, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, Wikimedia Commons
1481-84
1481-84

Viene ampliato il fosso, si prefigura il canale navigabile

L’attuale canale navigabile era un fosso con sponde irregolari che consentiva il passaggio di piccole imbarcazioni. A quel tempo era ostruito da detriti e sopravviveva il disegno realizzato al tempo dei romani. Il nuovo fosso permise il passaggio di navi di grossa stazza. Era importante perché la maggior parte dei collegamenti avveniva via mare. Il piccolo e medio cabotaggio lungo la costa era il percorso più agevole per il trasporto delle merci. Si usavano navigli di media e grossa stazza, quali fuste, sagitte e caravelle. Illustrazione di Enzo Nisco da “La Storia di Taranto Illustrata”, Scorpione ed., Taranto 2016.
1489
1489

Il privilegio di costruire navi.

I tarantini ottengono particolari privilegi sulla tassazione del ferro, della pece e del legname necessario per la costruzione delle navi, il che permise di costruire subito “tre bellissime navi de circa trecento butte“, cioè botti, che era il modo per misurare la capienza di una nave. Trecento botti corrispondevano ad una capienza di 84 tonnellate. A quel tempo c’erano anche galere capaci di portare 250 tonnellate, ma si preferivano navi mercantili con tonnellaggi più modesti che viaggiassero in convogli, detti “mude” per proteggersi dai pirati. Quelle tre “bellissime navi” probabilmente costituivano una muda. Pece per la cantieristica navale. Foto Salvatore Tomai
Scoperta dell’America 1492
Scoperta dell’America 1492
1492
1492

Viene ultimato il Castello Aragonese, uno dei simboli della città.

Una scritta latina della lapide murata sulla ``Porta Paterna`` del Castello Aragonese, insieme allo stemma degli Aragona con l'arma dei d'Angiò, recita in questo modo: ``Re Ferdinando aragonese, figlio del divino Alfonso e nipote del divino Ferdinando, rifece in forma più ampia e più solida questo castello cadente per vecchiaia, perché potesse sostenere l'impeto dei proiettili che è sopportato col massimo vigore - 1492.``. Castello Aragonese, Taranto, 1492. Foto Sergio Malfatti.
11. Periodo Spagnolo (1503-1707)
11. Periodo Spagnolo (1503-1707)
1502-3
1502-3

Consalvo di Cordova, il Gran Capitano di Ferdinando il Cattolico, conquista Taranto e inizia il Vicereame spagnolo.

Nei primi decenni del Cinquecento non vennero eseguiti miglioramen­ti nei porti pugliesi del vicereame spagnolo. L’interesse per la loro condi­zione si risvegliò solo verso la fine degli anni cinquanta, ma solo per esigenze difensive. Calcografia di Consalvo di Cordova in Aliprando Caprioli, Philippe Thomassin & Jean Turpin, Ritratti di cento capitani illustri con li lor fatti in guerra, Roma, 1596/1600. Aliprando Caprioli, CC0, via Wikimedia Commons
1517
1517

Una delle prime testimonianze della coltivazione di cozze nere.

La ``peschiera” del fosso adibita alla coltivazione delle cozze nere, già concessa alla città da Ferdinando il Cattolico (1452-1516), rende nel 1517 circa 70 ducati l’anno. Mitilicoltori, 1935 da Rassegna del Comune, anno IV, n.3-4. www.internetculturale.it
1525
1525

La bocca del porto in Mar Piccolo ciclicamente ostruita.

Il domenicano Leandro Alberti (1479-1552) nel suo viaggio in Italia compiuto nel 1525, passando per Taranto osserva che la bocca del porto è tanto “otturata che non vi potevano passare le navi grandi, ma solamente piccole barche”. Ancora cinquant’anni dopo, lo storico napoletano Camillo Porzio (1525-1603) in una lettera del 1575 al Vicerè di Napoli riguardo la condizione dei porti del regno, scrive :«la bocca di quello di Taranto è stata da sassi e dal terreno ripiena, in modo che non vi possono entrar legni grossi». Fosso del Castello aragonese, 1869 da SPEZIALE Giuseppe Carlo, Storia militare di Taranto negli ultimi cinque secoli, Bari, Laterza 1930.
1530 ca
1530 ca

Mercanti fiorentini, veneziani e ragusei.

In questi anni nel porto tarantino erano attivi mercanti fiorentini che esportavano grano alla volta di Genova e di Viareggio, su navi ragusee, provenienti dalla Ragusa dalmata. Questo grano veniva usato per impastare il “biscotto” necessario alla flotta, o inviato a Napoli o in Spagna per l’approvvigionamento annonario. A questa attività si aggiungeva poi quella dell’esportazione dell’olio, soprattutto verso Venezia, a cui si aggiungeva una modesta quantità di cotone filato o “felpa”. Imbarcazioni disegnate in una mappa del porto di Taranto, 1580 ca., Biblioteca Angelica Roma. BSNS 56/48
1554
1554

La pirateria condizionava i traffici e le rotte.

I pirati turchi Dragut, Ulne-Alì e Curtugul, battevano le coste del mar Jonio allo scopo di catturare tutti quei navigli che, appunto per sfuggire ai pirati navigavano costeggiando. Poiché ai turchi occorreva un luogo di rifugio per le navi, scelsero le isole di San Pietro e San Paolo, a tre miglia da Taranto, dove rimasero per sei mesi. Le due isole appaiono nelle mappe cinquecentesche denominate rispettivamente S.Pelagia e S.Andrea. Isole Cheradi in un mappa del porto di Taranto, 1580 ca., Biblioteca Angelica Roma. BSNS 56/68
1571
1571

Base logistica per la battaglia di Lepanto.

In preparazione dello scontro navale tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa, si scelse il porto di Taranto come rifugio di tutte le navi cristiane. Per quella che sarà poi definita Battaglia di Lepanto, che vide vittoriosa la lega pontificia, fu il comandante in capo Giovanni d’Austria (1547-1578) a volere come rifugio delle navi cristiane il porto di Taranto prima della battaglia di Lepanto. Illustrazione di Enzo Nisco da “La Storia di Taranto Illustrata”, Scorpione ed., Taranto 2016.
1574
1574

Porto sicuro per accomodar mille navi.

In una lunga relazione sulle fortificazioni di Taranto da vari ingegneri regi, per il porto si riferiva che la bocca del porto “non si è annettata bene, perché non può entrar per essa una galea, che in alcune parti non tiene più di sei palmi di fondo, perciò sarà necessario cavare a' compimento di dodeci palmi, e levare un arco di fabrica per allargare il passo acciò che a' detta bocca resti largo quaranta otto palmi perché potessero entrare galeazza, et il far un ponte sopra detto canale lungo palmi quaranta otto costarà ogni cosa mille e cinquecento ducati”. Invece, nel porto in Mar Grande “fora di detta bocca vi è un luoco dove si possono accomodar mille navi, et star sicure perché dall'isola in dentro è tutto porto sicuro”. Veduta della città di Taranto, 1580 ca., disegno a penna con inchiostro marrone e acquerello. Biblioteca Angelica Roma. BSNS 56/69.
1647
1647

Rivolta di Masaniello a Napoli per le imposte eccessive e la corruzione dei governanti.

Le elevate imposizioni doganali erano anche nei traffici marittimi furono dovute alla decisione di concedere in appalto a compagnie genovesi, in cambio di contributi in denaro e navi da guerra, Le attività commerciali e doganali del Viceregno.
Il traffico di cereali e olio che si faceva dal porto di Taranto prese altre vie e l’eccessiva tassazione contribuì ad alimentare il contrabbando.
Masaniello, ritratto di Aniello Falcone - Museo di San Martino, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4403982
1683
1683

Taranto: porto granario.

Dal porto di Taranto vengono esportate 31.500 tomoli di grano, che servivano quasi esclusivamente il mercato napoletano. Un tomolo corrispondeva a circa 33 kg, quindi si parla di circa 1.040 quintali di grano esportato. Cifra modesta se paragonata ai 5.000-6.600 quintali della seconda metà del Settecento, quando si conferma come porto granario. Mappa di Taranto con Mar Piccolo e Mar Grande, 1600-1699 da Bibliothèque nationale de France, département Cartes et plans, GE DD-2987 (5661) – https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b53042641h/
12. Periodo Austriaco (1707-1734)
12. Periodo Austriaco (1707-1734)
1707
1707

Arrivo degli Asburgo

Nessuna attenzione fu dimostrata dagli Asburgo per l’uso commerciale dei porti, né a scopo mercantile e né per approvvigionamento della capitale. Per i porti pugliesi, il disinteresse si può attribuire anche al fatto di essere concorrenziali rispetto a Trieste, che proprio in quegli anni cominciava a svolgere il ruolo di sbocco marittimo dell’Austria nel Mediterraneo. Veduta di Taranto da PACICHELLI Giovan Battista, Il Regno di Napoli in prospettiva, parte seconda, Napoli 1703 - Biblioteca Pubblica Arcivescovile ``A. De Leo``.
1717
1717

Le rotte commerciali verso il Nord-Europa

Il prete tarantino Cataldo Antonio Cassinelli, nel descrivere Taranto all’interno della sua Vita di san Cataldo stampata nel 1717 , parla del porto in Mar Grande frequentata da navi “non solo da Venezia, ma da rimoti paesi d'Inghilterra, Olanda, Spagna, e Portogallo, vi giungono giornalmente , o a caricarsi di frumento, biade, vini, lane, oglio, formaggio, e bombace, o a portarvi nuove mercanzie da vendere”.
I frutti di mare sono talmente tanti “che ne gode il Regno di Napoli, ed altri più Iontani paesi; le ostriche per fine, e coccie nere tarentine sono senza novero; sicché vi fu chi, per tal riguardo, le paragonò alle stelle del cielo”.
Galera del Doge F. Morosini, da Coronelli Vincenzo, Navi ed altre sorti di barche usate da Nazioni differenti, Biblioteca nazionale Marciana - Venezia - IT-VE0049 – Pubblico dominio – www.internetculturale.it
1721
1721

Muore Tommaso Niccolò d’Aquino, cantore della tarantinità.

Tommaso Niccolò D’Aquino (1655-1721), umanista tarantino autore del poema in latino “Delle delizie tarantine” (stampato postumo nel 1771), dove celebra le bellezze di Taranto. Questo poema è la testimonianza di un’epoca, ci racconta la Taranto di inizio Settecento, con un porto in Mar Piccolo che ospitava la flotta militare, mentre il porto in Mar Grande era destinato, come da sempre, per i traffici mercantili che andavano dalla Crimea all’Egitto, dalla Spagna alla Cornovaglia. Si racconta di esportazione soprattutto di olio, ma anche di vini, lane, pecore, cavalli, porpore e tanti alimenti che si producevano nelle campagne vicine. Frontespizio del libro a stampa di D’AQUINO Tommaso Nicolò, Delle delizie tarantine, Napoli, 1771 da http://books.google.com
1732
1732

Olio verso Venezia

Dalla testimonianza del naufragio di una nave di un armatore tarantino al largo di Tortoreto (Teramo), sappiamo che portavano olio a Venezia. In quell’anno, dal porto di Taranto furono esportate 4.314 salme di olio. Una salma corrispondeva a 180 kg, quindi furono esportate 776 tonnellate di olio. Per ogni salma di olio la dogana del porto esigeva 1 ducato. Dettaglio di piazza Fontana e della Dogana in una Veduta della città di Taranto, 1580 ca., disegno proveniente dalla Biblioteca Angelica di Roma.
13. Primo Periodo borbonico (1734-1801 ca.)
13. Primo Periodo borbonico (1734-1801 ca.)
1734
1734

Miglioramento dei porti e del commercio con i Borbone.

Con l’arrivo dei Borbone ci furono concreti tentativi di migliorare l’agibilità dei porti meridionali. Dal porto di Taranto veniva esportato l’olio verso la Francia e l’Inghilterra. Baia di Taranto da Specchio del mare Prima parte di Vincenzo Coronelli, 1698, Biblioteca nazionale Marciana - Venezia - IT-VE0049 Pubblico dominio – www.internetculturale.it
1755
1755

Riapertura del fosso del canale

Per ordine del Re di Napoli, Carlo III (1716-1788), si riapre il canale per ristabilire la comunicazione tra le acque dei due bacini, Mar Grande e Mar Piccolo, ed evitare in tal modo la perdita dell'industria della pesca. Nel porto di Taranto, situato in Mar Grande, si commerciano tutti i principali prodotti pugliesi: grano, olio e lana. Dettaglio della mappa calcografica di Taranto disegnata da Giovanni Ottone di Berger e incisa da Benedetto Cimarelli inserita nel testo a stampa di Tommaso N. d’Aquino, 1771. Provenienza: Biblioteca Comunale de Miccolis Angelini - Putignano - it-ba0112 - Pubblico dominio – www.internetculturale.it
1766
1766

Nell’antico porto reperti della lavorazione della porpora.

Il barone tedesco Johann Hermann von RiedeseI (1740-1785) nel suo ‘Grand Tour’, passando per Taranto visita in compagnia di Cataldo Antonio Atenisio Carducci (1733-1775), cultore delle cose antiche, l’antico porto situato in Mar Piccolo, nei pressi dell’attuale Villa Peripato. Lì vedono “una collina interamente formata di murici, conchiglia da cui si sa che gli antichi traevano la porpora; egli `{`Carducci`}` crede che questa collina si è formata a lungo andare dalle conchiglie vuote che gli operai di questa tintura rigettavano”. Gusci di murici triturati per l’estrazione della porpora. Ex convento di S. Antonio, 2012. III-II sec. a.C. Museo MArTa Taranto
1773
1773

Rifacimento della lanterna del porto

Al porto di Taranto si fanno lavori di ripristino al fanale della lanterna, distrutto da una tempesta. Giovanni Bompiede (†1789), ingegnere al servizio dei Borbone, invia una relazione sui sistemi da usare per evitare che il fanale si arrugginisca. Questa è la più antica testimonianza di un faro a servizio del porto di Taranto. Nella mappa del 1771 di Ottone di Berger si notano i magazzini che servivano il porto e l’ingresso in rada tra san Vito e le isole Cheradi. Dettaglio della mappa calcografica di Taranto disegnata da Giovanni Ottone di Berger e incisa da Benedetto Cimarelli inserita nel testo a stampa di Tommaso N. d’Aquino, 1771. Provenienza: biblioteca comunale de miccolis angelini - putignano - it-ba0112 - Pubblico dominio – www.internetculturale.it
1774
1774

Taranto, primo porto granario sotto i Borbone.

La maggior parte dei carichi di frumento che arrivavano a Napoli provenivano dal porto di Taranto: 23 viaggi, contro i 13 dai porti di Crotone e Barletta.
Il commercio era però appannaggio dei ricchi mercanti napoletani, come i Berio, oriundi genovesi, che organizzavano il commercio granario su imbarcazioni genovesi, inglesi, olandesi, austriache, catalane e pontificie. Per regolare il commercio risiedevano in
città un console inglese, uno austriaco, un maltese e un siciliano. Dal Catasto Onciario non risultano tarantini interessati al commercio o “naviganti”, ma piuttosto pescatori. Taranto era anche una delle mete del Grand Tour, come testimonia la mappa del viaggiatore inglese Henry Swinburne (1743-1803) intorno al 1777, ricopiata da quella disegnata da Ottone di Berger nel 1771.
Mappa del porto e dei dintorni di Taranto, Henry Swinburne, 1777-1779 - Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection – Pubblico Dominio https://collections.britishart.yale.edu/catalog/tms:29957
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